Sulla tragica morte di Micheal Jacson.
Caro Michele,
Ti scrivo chiamandoti Michele. Perché vedo chiara la tua immagine nei miei pensieri di bambino degli anni ’80. E a tale proposito mi viene in mente di qualcuno che diceva “non si esce vivi dagli anni ‘80”. Ecco io oggi potrei rispondergli: “i bambini si!”. E quell’immagine è molto dolce. La scoperta della musica nel bambino degli anni ’80 è una questione complessa. Nel mio caso c’è una mescolanza di concezione classica, quasi pedante, e di accezione moderna e commerciale. La seconda ovviamente prevale come la lepre sulla tartaruga nella favola di La Fontaine.
La musica commerciale era il paradiso dell’energia e della sfrontatezza indiscriminata. Ritmi frenetici e volumi alti che contrastavano con l’appiattimento della vita quotidiana imposta dall’avvento della post-modernità. La tua musica nello specifico giovava del fatto di essere assolutamente e del tutto tua. Avevi oltrepassato il Rock con l’energia. Avevi forato quel muro dandogli un’altra dimensione. Non solo inconfondibile nello stile ma familiare e innovativo nel contenuto. Niente di particolarmente elaborato e poetico ma semplicemente energia. E nei bambini come me l’energia era andare al parco a correre dietro a un pallone o verso una giostra spinto dall’entusiasmo di spazi liberi. E la libertà di quegli spazi era assaporabile nei rimandi alla durezza della chitarra elettrica, della compassione continua della batteria tutta fondata sul battere e della pulizia perforante della tua stridula voce. Ascoltare “Thriller” era capire cos’era un film thriller e riconoscerne il senso la prima volta che ne vedevi uno. E queste sono immagini che formano la tua sensibilità.. Non so a che livello della scala di percezioni, ma sicuramente hanno stabilito un punto di riferimento fondante.
Ma soprattutto rimango basito a pensare alla scala del tuo successo. Si è messo a passeggiare per il pianeta terra passando dalla mia rappresentazione fino ad arrivare a quelle di un giapponese. Si è distribuito in verticale per tutte le fasce di età concentrandosi sui giovani. Così ha costruito una sovrastruttura comune nello spazio e nelle classi di individui. Ha ritagliato su tutto il pianeta terra un gruppo sociale che si chiama “Giovani” che per di più si è evoluto attraverso altri personaggi e generi. Tuttora però tu sei il mio concetto di “Giovane” (quello che si pronuncia conla Oaperta da calabrese fuori sede).
Questo per me era Michael Jackson e credevo fosse giusto fartelo sapere. Anche perché devo ammettere che i tuoi cd non hanno mai abbandonato la mia mensola ma da qualche anno a questa parte subiscono la polvere che li rende storia. Inevitabilmente sono Gioventù… diciamo Gioventù storica…
E tutto questo, Michele, è un grosso merito e un immutabile processo di glocalizzazione. Tu sei la prima vera definizione di Pop-Star. Un personaggio stereotipo che appare come spregiudicato e inarrivabile e che a un certo punto scende dal trono con umiltà e sobrietà quasi a voler proteggere la propria icona. Ecco quello che mi è venuto in mente oggi. Che già da quando ti volevi mostrare Pop-Star, io ti vedevo umano nella tua umiltà e sobrietà. Ti hanno accusato di pedofilia e di impunità guadagnata grazie ad un potere acquisito per essere l’icona della Pop-Star. Sei diventato il romanticismo estremizzato nella società post-moderna. Poco più avanti di Elvis Prestley e poco più indietro di Kurt Cobain.
Qualcosa di strano nella tua testa deve essere successo. Ma io non posso imputartelo. Posso solo raccomandare agli altri bambini degli anni ’80 come me di trarre le giuste conclusioni dalla storia. Il potere mediatico è qualcosa di incontrollato ed incontrollabile. Ma allo stesso modo è soggetto alla natura del concetto di potere. Bisogna sapere cosa farci col potere, e bisogna saperlo molto bene, perché il rischio è perderne il controllo.
Ma Michele mio tu hai perso il controllo avendo scritto un pezzo di storia e questo nessuno può togliertelo, nel bene e nel male. L’importanza di quello che hai scritto si vedrà fra una cinquantina d’anni… quando la storia sarà storia sui banchi di scuola di mio figlio. E sono certo che ti capiterà di venirmi a salutare con il passo di chi è certo di camminare sulla luna. Ci vediamo lì Miché… Essendo cosciente di non poter camminare sulla luna era il caso di strisciare sulla terra per fare finta di essere sospesi nello spazio e provare a percepire il minimo livello di quella sensazione.
YanezDeGomera