So di non sapere.

Roma, 24 ottobre 2010

Essere coscienti della propria ignoranza è uno degli asserti fondamentali della filosofia di Platone. E si tratta di un assunto che difficilmente manca di formare menti intelligenti. Sapere di non sapere, rappresenta, in un certo senso, l’allenamento al giudizio su se stessi. Una sorta di “auto-oggettivazione” che spinge l’essere umano all’approfondimento della conoscenza. Giudicare se stessi come se si stesse guardando ad un altro, rendersi conto di non possedere altro valore che l’esperienza.

Insomma, a parte Costanzo ed i suoi ospiti, nessuno può dire di sapere tutto. E così, mentre Vittorio Alfieri si legava alla sedia per imporsi di studiare, il ragazzo del 2000 sogna  in qualche modo di legarsi ad una sedia del salotto più famoso d’Italia. Il salotto che é il più famoso d’Italia come il lungomare di Reggio Calabria é famoso per esserne il chilometro più bello.

L’immagine di Alfieri, mito del nostro tradizionale modello di istruzione scolastica, corrisponde ad un tentativo di innescare la motivazione allo studio nell’adolescente, che, oltre a seguire, in concreto, una via per prendere coscienza delle proprie potenzialità, prova ad aggiustare il tiro dei propri obbiettivi. Per una estrazione sociale o per l’altra, per un background culturale, particolare o alternativo, come per quelli più comuni.

Ma nelle ultime settimane, fra le discussioni agguerrite sui palinsesti Rai ed i compensi degli illustri ospiti dei programmi di controinformazione, fra i detriti delle tragiche vicende di cronaca di Avetrana e la radicalizzazione (oltre il senso del radicale) della vita politica, la reazione di un giovane non può che provocare un passaggio repentino dal “sapere di non sapere” al bisogno fisico di ignorare.

Marco, si sa, é ormai noto, se n’è andato e non ritorna più. Il treno delle sette e mezzo senza lui, inesorabilmente, è un cuore di metallo senza l’anima. Tre metri sopra il cielo ci sono arrivate solo le navicelle spaziali (e ancora… potrebbe sempre darsi che sia un complotto della CIA), ma di sicuro anche da quelle parti si erige una villa di Berlusconi e una dependance finiana. Con Bocchino che sfoggia il suo simpatico sorriso controcorrente, come unico, verace connotato della propria vocazione popolar-populistica.

La televisione é un medium vecchio. É così vecchio che finisce col trasferire i suoi rigurgiti di vecchiaia anche, ed ormai soprattutto, nel medium più moderno. Il web, infatti, é un contenitore privilegiato dei prodotti televisivi che, proprio sul web vengono esposti a quell’elemento che é al tempo stesso il più grosso cruccio ed il più grosso pericolo per un medium vecchio come quello televisivo: l’intervento del pubblico.

Nel nuovo medium il prodotto televisivo diventa un oggetto produttivo del web che si pone quindi come un’estensione del medium vecchio. Questo avviene in ogni parte del mondo. Ma il parametro culturale comune al quale si riferiscono i prodotti mediatici in Italia, televisivi ed extra-televisivi, nell’era della moltiplicazione esponenziale degli strumenti, è il qualunquismo. In tutti i campi ed in tutte le situazioni sociali. In tutti i modi, in tutti luoghi ed in tutti i laghi, anche il web diventa banale quanto la televisione.

I giornalisti di cronaca (quelli di opinione sono stati ibernati verso la fine degli anni ’70), in televisione, sui giornali, alla radio e su internet, sembrano tanti accoliti pronti a sottolineare con la penna rossa l’ultima atroce vicenda di cronaca. Tutti si impegnano a compiere di proposito errori di omissione. Ogni articolo, ogni servizio, è incomprensibile, preso singolarmente. Ma una volta ricostruita la storia grazie allo scandaglio di tutti gli speciali pomeridiani, dei programmi di prima e seconda serata, si finisce impelagati nel turbine dell’opinione pubblica che prescinde dal parere del soggetto singolo, che, effettivamente, in una minima parte, compone il pubblico.

“O ti magni sta minestra o te vutt’ ra’ fenesta!”

L’unica reazione adeguata degna al qualunquismo sembra configurarsi nella volontà di non sapere. L’unica possibilità rimasta al pubblico medio di allenarsi al bisogno non indotto. La sola libertà di espressione non basta più, occorre istituire la libertà di non sapere, in nome dell’abnegazione nello studio tanto cara ad Alfieri, e non per una mera questione di privacy. E quando anche fosse per il pudore di non vedere esposta indebitamente la propria vita privata, ognuno sogna in segreto di ricevere la posta di Maria De Filippi e denunciarla per molestie a sfondo mediatico.

Una sola ragione. La politica è morta. E nessuno l’ha comunicato ai politici. I giornalisti erano occupati a cercare informazioni. I giudici erano impegnati a guadagnare voce in capitolo per affermare e garantire la propria indipendenza. Il popolo era impegnato a seguire i giornalisti alla ricerca di informazioni, per catturare immagini amatoriali dell’accaduto. L’unico ad avere ben presente la situazione è l’italiano medio. Quello che il giorno delle elezioni, il giovedì sera (quando va in onda la messa di Annozero), all’ora dei vari telegiornali, si divide in due. Una metà è vicina all’analfabetismo e sicuramente contigua all’idiozia, si beve la retorica di Fede, e corre a votare Berlusconi. Mentre l’altra, più avveduta, con l’amaro in bocca, si piazza davanti ad uno schermo, e decide di coltivare l’ultima, residua, tragica alternativa al qualunquismo: l’astensionismo.

Ma la coltivazione dell’astensione non può che portare allo svuotamento degli assunti platonici. Essendo coscienti di non poter sapere perché gli altri sanno troppo, scegliere di non sapere nulla per ritrovarsi ad essere domani uno di quelli che non sapeva e quindi nulla poteva fare. L’onore vero va a quelli che, invece, pur non sapendo, e spesso non volendo sapere, nel dubbio, fanno. Fanno figli, lavorano, si dannano l’anima per non essere etichettati, fanno anche fatica a non andare a votare, in definitiva rispolverano Machiavelli a sostegno di Platone: semplicemente fanno pace! Con se stessi e con gli altri. Ecco questo forse è un pensiero interessante: invece di sventolare bandiere in nome della pace, impegnarsi a costruirla!

YanezDeGomera (ilredelmare)

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