Egregio professor Massimo Canevacci,
Le scrivo con sincerità e cortesia, dai meandri dei miei “selves”, direttamente al suo essere Camelote, la pianta in viaggio con le proprie “roots” sulle “routes” universalmente eteronome di questo ventunesimo secolo. Sono uno studente di scienze della Comunicazione ed ho di recente sostenuto il suo esame di Antropologia Culturale nell’ambito del corso sui feticismi visuali.
Questa mia lettera nasce da un’idea che mi è venuta leggendo il suo libro “Una Stupita Fatticità” e in particolare la parte che riguarda l’analisi delle pubblicità. In pratica ho trovato che nel suo percorrere i messaggi pubblicitari dal punto di vista del feticismo ci sia una mancanza. Infatti riflettendo ai concetti di bodyscape e location mi sono accorto che lei ha tralasciato un oggetto che è quasi un simbolo della post-modernità: l’ipod.
Prima di tutto mi sembra centrale inquadrarlo in un discorso di brand. Infatti, a mio avviso, la Apple è tecnologia per sottosviluppati. E mi rendo conto della scomodità della mia affermazione, ma vado ad illustrare le ragioni della mia provocazione. Se si acquista un ipod ci si trova immersi in un universo di simbolismi assolutamente minimalisti. Infatti la scatola è estremamente piccola, poco più grande dell’oggetto in se stesso; non contiene in dotazione un carica batterie, ma un cavo usb che permette di collegare l’ipod al pc. Chiunque è in grado di capire come si connette una presa usb: è studiata quasi appositamente per la facilità dell’intuizione; l’unica difficoltà può essere la scelta di quale dei due sensi del connettore utilizzare. La presa usb della Apple risolve questo dubbio. Infatti se viene inserita nel verso giusto si vede sulla presa il simbolo della connessione usb, mentre se si sbaglia il verso c’è il simbolo della Apple. Insomma questa mini interfaccia assolutamente speculare preserva l’utente dall’errore generato dalla lontananza tra uomo e macchina. Ti dice “guarda che hai scelto il senso giusto!”; oppure, se hai sbagliato verso, ti suggerisce: “fratello, è il verso sbagliato, ricordati che stai utilizzando tecnologia Apple: basta che l’ascolti e lei ti parlerà!”.
La mia modesta esperienza con il mondo dell’informatica è sempre stata caratterizzata da un metodo assolutamente ermeneutico. Sono passato dall’usare l’interfaccia windows da profano a sbarcare il lunario fornendo assistenza informatica, avanzando a tentoni con la logica del “Così non ci riesco? Proviamo tutte le possibili strade alternative.”. Insomma mi sono costruito il mio sapere informatico sulla base di una logica fondata sull’errore. Risulterà quindi facile intuire come mai, e con quale connotazione, giudico la tecnologia Apple roba per sottosviluppati… peraltro sottosviluppati ricchi. La logica della Apple porta l’utente a non sporcarsi mai le mani con la manipolazione dell’informazione, ad opera di un’ intuizione, eludendo il percorso di apprendimento ermeneutico per ragioni di praticità; il che conferisce all’esperienza di contatto con la macchina un lato assolutamente frammentario che in un certo senso ne provoca il sequestro. La Apple cerca di farti andare a letto con il tuo pc saltando tutta la fase di corteggiamento. E la cosa più interessante è che questa frammentazione dell’apprendimento non influisce sul risultato materiale della propria attività, a patto che questa non abbia come oggetto il funzionamento della macchina stessa. Infatti questo è possibile proprio perché l’obbiettivo non è l’esperienza informatica ma piuttosto l’utilizzo strumentale per uno scopo lontano o comunque distinto dall’informatica. Che, in effetti, non avrebbe ragione di esistere se fosse fine a se stessa. La Apple tende a formare un universo di utenti che non hanno un’idea materiale di come funziona lo strumento utilizzato pur essendo quest’ultimo, in molti casi, di vitale importanza. E non voglio negare che questo processo sia abbastanza comune a qualsiasi tecnologia, ma intendo mettere l’accento sul fatto che le caratteristiche particolari della stessa informatica di nuova generazione rendono possibile questa frammentazione del processo di avvicinamento fra uomo e macchina.
Analisi fisiologica dell’Ipod Apple
L’ipod, già al livello filologico, è l’incontro fra l’ ”i” (io) e il podcast. Quest’ultima è una delle forme che caratterizzano i nuovi media. Il passaggio dalla forma “broadcast” (la sequenza in cui viene formalizzato il contenuto è fissata) alla forma “podcast” (la formazione della sequenza è una scelta personale dell’utente nell’ambito del possesso limitato dei contenuti) è un percorso fondamentale della post-modernità. L’ipod è il simbolo dell’incontro fra l’individuo e la forma ipertestuale del contenuto post-moderno. E questa personalizzazione, abbastanza relativa, del dispositivo tecnologico, si ritrova descritta in pieno nel nome stesso. L’ipod è l’evoluzione del “walkman”, ma più precisamente un’evoluzione sulla via della praticità di quello che i francesi, sciovinisti, chiamavano “baladeur”. Un mangianastri portatile infatti presentava chiaramente i limiti dell’alimentazione a batterie velocemente consumabili e la restrizione del contenuto alla durata di una musicassetta: tutti limiti temporali. In questo senso l’ipod Apple ha sfondato il muro del suono. Rispetto ad un walkman questo è connotato di infinito! Infinitamente piccolo, leggero e portatile; infinitamente fruibile, modificabile nell’utilizzo e nella funzione. In pratica l’integrazione sintetica di tutti i dispositivi nei quali ha viaggiato evolvendosi la forma ipertestuale dei contenuti musicali, ma anche multimediali. E forse questo percorso andrebbe osservato come un viaggio che parte dalla musica e arriva alla multimedialità.
Il touchpad dell’Ipod come feticismo visuale
Ma quello che più mi ha colpito, osservando l’ipod alla luce dell’analisi feticista dell’immagine, è la rivoluzione messa in atto nella scelta dell’interfaccia visuale. L’ipod è infatti dotato di un “touchpad”: uno strumento di controllo che reagisce al tatto. Non si parla più di pulsanti (altra evidente metafora fallica) ma piuttosto di sfiorare una determinata, e soprattutto predeterminata in maniera marginalmente visuale, zona del dispositivo. Infatti al livello visivo, tralasciando le varie scelte cromatiche che nulla tolgono al livello concettuale, si è cercato di far scomparire l’interfaccia di controllo tattile. Su un “walkman” la zona di controllo del dispositivo era molto più evidente, spesso inquadrata e messa in rilievo, e soprattutto caratterizzata da pulsanti-escrescenze. Il pulsante si spinge, e si riceve un feedback proprio per effetto del fatto che una volta spinto si fissa, mentre il touchpad si sfiora e non c’è un feedback immediato caratterizzato da fissità o modifica della forma della zona di controllo. Il feedback viene dall’effetto diretto del messaggio inviato dall’uomo al dispositivo. Si verifica sulle conseguenze dell’atto e non sull’atto stesso.
La sequenza non è più “percepisco la tastiera”, “schiaccio il tasto”, “percepisco il tasto che è schiacciato”, “percepisco la musica”; ma piuttosto “percepisco la tastiera”, “schiaccio il tasto”, “percepisco la musica”. L’ipod fa quindi in modo che il soggetto salti la percezione del cambiamento morfico del dispositivo creando una corrispondenza più diretta fra l’atto di manipolazione e la sua conseguenza. Tutto questo ha l’aria di una semplice modifica, trascurabile al livello della fruizione, ma alla luce di un’analisi basata sul feticcio mi sembra una bella rivoluzione: la manipolazione diretta dell’informazione.
Ma quello che pare ancora più rilevante sul piano del feticismo è la forma del touchpad. Si tratta di un cerchio contenente un altro cerchio più piccolo. I pudichi direbbero che sembra una ciambella. E sarebbe azzardato pretendere che una singola interpretazione corrispondesse alle intenzioni dei designer di Apple. Ma osservandolo con gli occhi del feticcio è inevitabile pensare ad un capezzolo. Un capezzolo multimediale che produce e manipola la musica. Un’idea assolutamente geniale. Come se la musica fosse un contenuto proveniente dall’interno del corpo dell’individuo. Come se, finito l’allattamento, Madre Natura avesse deciso, a millenni dalla creazione, di nutrire l’uomo di musica. Come se la fase di nutrizione alimentare fosse terminata e non potesse che cominciare una fase di nutrizione musicale. Come se il punto in cui si concentrano una moltitudine di terminazioni nervose fosse improvvisamente espugnato dalla musica. Come se la musica non si percepisse più attraverso l’orecchio ma tramite il capezzolo. E io dico come se… Ma in realtà tutto questo è: l’ipod.
Una visione alternativa, ed ancora più estrema, lascerebbe ipotizzare un antico scollegamento delle terminazioni nervose, che la tecnologia, la storia, l’arte e la cultura, con il passare di millenni, hanno ricongiunto con il frutto primario. Quasi una sorta di distacco dal paradiso terrestre, o da una mela proibita, il cui sapore e odore non sono mai stati dimenticati, e la sola debolissima percezione ravviva lo spirito confortandolo per la lontananza.
I tasti dell’Ipod: una bussola culturale.
Inoltre c’è un’altra questione alquanto rilevante: le singole funzioni dei tasti del touchpad. Innanzitutto i tasti sono situati, ipotizzando la sovrapposizione con una bussola, a nord, sud, est, ovest e al centro; ed inoltre sono tasti dei quali non si percepisce la presenza al livello morfologico, infatti non ci sono escrescenze a parte quella centrale, molto leggera. Esattamente come in un capezzolo rilassato non si percepiscono al tatto escrescenze corrispondenti a terminazioni nervose a parte quella centrale. Queste si concedono al tatto solamente una volta stimolato il capezzolo come se si premessero dei tasti, oppure sfiorandolo leggermente come per volerlo accarezzare.
Sud
Il tasto “play/pausa” è situato a sud. Nella parte bassa del capezzolo. L’unico modo per riuscire a raggiungere il centro interno del capezzolo, che è leggermente pendente verso il basso quando è rilassato, è proprio porre pressione sulla parte bassa. E in corrispondenza, gli ignari designer della Apple, hanno posto il tasto che permette di avviare la riproduzione della musica oppure di interromperla (momentaneamente). Infatti l’ipod non ha un tasto che corrisponde alla funzione “stop”, perché la musica non si può fermare… Il dispositivo si spegne applicando una prolungata e decisa pressione sul tasto “play/pausa”. Facendo la stessa cosa su un capezzolo si percepisce un leggero dolore. Come a dire “se vuoi spegnere la musica ti devi fare male”. L’ipod rovescia la corrispondenza funzionale fra la sensazione e il fenomeno extra-corporeo. Come se volesse scoraggiare la cessazione del nutrimento multimediale.
Est ed Ovest
I tasti situati ad est e ad ovest corrispondono alle funzioni “vai alla traccia successiva” e “vai alla traccia precedente”. Ed è curioso notare come la scelta dell’orientamento su un asse orizzontale sia tanto artificiale quanto naturale. Infatti l’est è avanti: l’oriente. Mentre l’ovest è indietro: l’occidente. E qualsiasi antropologo anti o post-colonialista avrebbe materiale sul quale scervellarsi riguardo a questa curiosa e scontata scelta dei perversi signori della Apple. L’occidente/indietro è ripetizione, approfondimento; mentre l’oriente/avanti contempla l’innovazione, il mutamento… o forse più semplicemente si potrebbe parlare di conoscenza e trascendenza, vecchio e nuovo, ma soprattutto di esperienza ed ignoto. L’ipod cardinalizza i limiti direzionali del contenuto, fino a fissarlo fra indietro ed avanti. Pone dei limiti che non sono altro che ponti verso la conoscenza.
Nord
Il nord rappresenta il tasto “menu”, a mio avviso di minore interesse per l’analisi del feticcio. Probabilmente, a questo punto, un errore per necessità della struttura simbolica, come se i tecnici si fossero chiesti per mesi e mesi “ e al nord che cosa ci mettiamo?”. Il tasto “menu” serve a navigare all’interno del dispositivo che presenta le funzioni di gioco, orologio, calendario, riproduttore di immagini fotografiche e di video. Come a dire “qui ci mettiamo tutto il resto… nel caso in cui aveste proprio bisogno di qualcos’altro a parte la musica”. E questo “tutto il resto” è una porta aperta alla multimedialità, quasi come se fosse il punto di evoluzione del dispositivo stesso. In merito posso solo aggiungere una citazione di Rousseau che diceva che le lingue del nord sono nate vicino a una fabbrica e le prime parole erano “aiutami” mentre quelle del sud sono nate accanto alle fontane e le prime parole erano “amami”. Aiuto/evoluzione e Amore/musica. Inoltre l’associazione del concetto di avanzamento ad entrambi i tasti “nord” ed “est” genera una dinamica sorprendente che è essa stessa espressione di tale tendenza: il senso orario. Il quale suggerisce un tentativo di instaurare familiarità con l’oggetto/dispositivo. Come se l’individuo potesse dimenticarlo come si fa con l’orologio al polso. Ma inoltre è anche l’accentramento dinamico della spirale.
Il Capezzolo/Ciambella
L’ultimo tasto, al centro, quello che crea l’effetto capezzolo (ciambella), ha sempre una funzione di accesso alla navigazione. Però non si parla di manipolare le funzione dell’oggetto in se, ma di intervento attivo sul contenuto, nel senso della singola traccia. Infatti la pressione sul centro permette di spostarsi a piacimento in un punto preciso del brano musicale, di indicare un gradimento che influenzerà la riproduzione casuale dei brani e di selezionare la funzione di regolazione del volume. Esattamente come l’escrescenza centrale del capezzolo rende possibile l’accesso alla manipolazione diretta. Esattamente come il buco della ciambella permette, dopo averlo stimolato, di far risorgere delle altre piccole escrescenze che corrispondono a terminazioni nervose in iperattività. Proprio come il tasto centrale è collegato al comando “ok” in qualsiasi sottocategoria del menu del dispositivo e introduce il determinante concetto di movimento. Centro/movimento, come il punto intorno al quale girano le lancette dell’orologio, il fulcro dell’esistenza stessa. La meta della spirale. Ma soprattutto è proprio questo centro che genera il feticismo visuale. Senza buco non si potrebbe parlare di ciambella, eppure è solo un buco, un niente che è molto perché caratterizza una forma astratta e innaturale.
Lo stupore metodologico: il volume dell’Ipod.
Il punto in cui interviene lo stupore metodologico è però la questione della regolazione del volume. Mettendo da parte tutti gli studi sull’ascolto della musica ad alto volume, che peraltro sembrano essere fra i più attendibili e concreti nell’ambito delle ricerche sulla comunicazione, si può capire come il livello del volume sia assolutamente la svolta centrale. Infatti questo si regola sfiorando il touchpad con un movimento rotatorio in senso orario. Come ad accompagnare le lancette dell’orologio. Ed è proprio questo il culmine del feticismo insito nell’ipod: sfido chiunque a fare lo stesso movimento sul proprio capezzolo e a negare la stimolazione del fascio di terminazioni nervose. Così i creatori della Apple hanno voluto restituire la mela al proprio istinto primordiale più basso e centrale: l’eccitamento sessuale. E il fatto di collegare tutto questo alla musica fa la rivoluzione della ciambella/capezzolo. Con l’eccitamento del capezzolo multimediale il volume della musica aumenta e si riduce il controllo sui nervi ormai impazziti. Ma Mr Apple in realtà vuole dire: “io vi ho ricollegato con il capezzolo multimediale, e attraverso questa ricongiunzione vi ho restituito una dinamica di controllo.”. Perché lo sfiorare il touchpad emulando il movimento delle lancette dell’orologio è molto più semplice e immediato rispetto ad azionare una rotella unidimensionale incastonata a forza nel vecchio walkman. Oltretutto questo porta direttamente al binomio fondamentale Musica/Tempo. Più passa il tempo più il volume aumenta, e per di più questo tempo è reversibile a comando quanto è “abbassabile” il volume del sonoro.
Infine la collocazione spaziale del dispositivo apre la porta alla sovrapposizione metodologica del concetto di bodyscape. E a questo punto è doveroso citare un’esperienza personale. Essendo un melomane, amo ascoltare la musica in motorino. D’estate, potendo, grazie all’afa romana, che inaspettatamente ha raggiunto per me una marginale connotazione positiva, andare in giro in maniche di camicia, porto l’ipod nel taschino. Dedicandomi a tale lussuriosa attività mi sono accorto che con il passare del tempo il mio capezzolo multimediale si confonde con il capezzolo reale. E il touchpad fa si che non si è costretti ad infilare la mano nel taschino: si può manipolare la musica solamente sfiorando il tessuto. E ci si rende conto che il feticcio penetra il cotone e rivela il capezzolo all’esterno dell’indumento. A quel punto l’ipod ha dislocato il capezzolo. E’ arrivato a manipolare lo stesso corpo rendendolo un panorama dinamico. Azzarderei quasi le estreme conseguenze del concetto di bodyscape. Inoltre alla luce di tutto questo l’idea di manipolazione diretta e dinamica prende ancora più significato e confonde il dipositivo tecnologico quasi come un’applicazione sottocutanea. La musica viene incisa e registrata sulla mia pelle, per di più nel punto più sensibile di tutti. Capezzolo multimediale dislocato sulla camicia e capezzolo naturale trasferito su quello multimediale.
“Melomania”: il vero brand dell’Ipod
Rimane in effetti doveroso ritornare ancora sul discorso del brand. La mela con il morso. Il simbolo del ritorno al paradiso terrestre fa da punto di congiunzione: il “relais” fra andata e ritorno dal feticcio al corpo. Inoltre è piazzato sul dorso dell’ipod così da ritagliarsi come punto di contatto fra capezzolo naturale e capezzolo multimediale. (Ammesso che si possa ancora distinguerli). Ma la mela stessa ha una connotazione precisa che richiama inevitabilmente la posizione dell’idiota tecnologico descritta da McLuhan. Infatti il simbolo del paradiso terrestre che esce dallo stato di natura suggerisce da una parte la neutralità della tecnologia dei nuovi media e dall’altra un ricongiungimento calvinista. Uscita dall’uomo naturale per la santificazione dei pandemonium.
La mela di Platone che rivela il dualismo umano e la mela del peccato che disegna come “rappresentamen” la tentazione. Ma qui ancora la perfezione del dualismo nasce proprio dalla presenza di una tentazione. E la tentazione stessa nasce dal dualismo. Insomma per quanto il logo spinga a prescindere dal giudizio di valore si eregge solida e prepotente una dicotomia. Perché la perfezione genera la tentazione nel dualismo e la tentazione è essa stessa il punto di evoluzione esponenziale verso la perfezione del dualismo. Il concetto di neutralità è quindi scongiurato dalla dicotomia originata dal metodo dialettico. L’ipod è borghesia tribale post-moderna. Mira a presentare ciò che è culturale come naturale, senza nasconderlo, eppure definendolo nell’insignificante, e al tempo stesso rilevante, dettaglio del morso sulla mela. E, purtroppo, tutto questo scardina la neutralità del medium, ma piuttosto, per fortuna. La neutralità svuota il contenuto, leva significato alla personalizzazione, che diventa puramente formale e non sostanziale, come vorrebbe illudere Mr Apple (sezione commerciale).
La dialettica perfetta dell’Ipod Apple.
La stessa logica Apple si pone come alternativa al mondo Microsoft che sacrifica il ravvicinamento uomo macchina in virtù del costo basso. La Apple (sezione tecnica) ricerca, al livello tecnologico, il ricongiungimento, sperando di superare la dicotomia con la neutralità. Ma per il metodo dialettico stesso l’alternativa è sempre un’alternativa a qualcosa, il che genera la dicotomia. La tesi crea l’antitesi e l’antitesi dipende dalla tesi, come ci ha insegnato Dahrendorf. E a poco serve la favoletta della neutralità della sintesi. Così la logica Apple è sempre una risposta al mondo Microsoft, inesorabilmente in dicotomia.
Il simbolismo quindi non prescinde dalla connotazione ideologica e la svolta funzionale rimane permeata per lungo e per largo dalla ricerca di un punto di contatto che si alterna fra i due elementi dicotomici. E così l’ipod non è buono o cattivo a seconda del contenuto e dell’uso ma è un punto di discontinuità. Un elemento che modifica la continuità del tempo e non si sposta da un binario all’altro parallelo, ma piuttosto sceglie altri binari. E l’uomo non può che accettare che la meta di entrambe le vie ferroviarie è ignota. Ecco l’ipod… un’altra via nella classificazione dei sistemi narrativi descritta da Levi-Strauss. L’uso e il contenuto sono affidati all’immanenza della natura umana che non é il morso sulla mela ma la mela stessa. Non perfezione, ne tentazione, ne la figura nel suo insieme. Piuttosto l’immanenza del tempo.
Ecco spero che tutto questo non sia assolutamente strampalato, l’ho buttato giù in diversi mesi di riflessione, e magari è solo un accenno di idea che mi serve quantomeno per verificarne il senso e la struttura. Le sono molto grato se si è voluto spingere fino alla fine e spero che tutto questo sia nello spirito da lei seguito nel suo libro. Per quanto abbia già sostenuto il suo esame questo magari potrà servire ad accertarmi di aver carpito lo spirito del saggio.
Con stupita fatticita… e fatticità stupite,
YanezDeGomera
P.S.
Le allego qualche verso di Fabrizio De André, che trovo sempre opportuno citare in tutto quello che andrà “non al denaro, ne all’amore, ne al cielo”.
“Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino. Non avevano leggi per punire un blasfemo. […] Perché dissi che Dio imbrogliò il primo uomo, Lo costrinse a viaggiare una vita da scemo; Nel giardino incantato lo costrinse a sognare: A ignorare che al mondo c’è il bene e c’è il male. Quando vide che l’uomo allungava le dita A rubargli il mistero di una mela proibita; Per paura che ormai non avesse padrone, Lo fermò con la morte e inventò le stagioni.” Un blasfemo (dietro ogni blasfemo c’è un giardino incantato) Non al denaro, ne all’amore, ne al cielo – Fabrizio De André