Roma, 10 novembre 2010
Roberto Saviano, giovane eroe, rinsavito dall’effetto Gomorra, è ormai politicamente schierato contro la maggioranza e contro il governo. Le ragioni di questa presa di posizione sono fuori dai giochi di potere e fuori dalla politica. Sono esattamente il segno più chiaro del dilagare del qualunquismo. (Come diceva Guzzanti Corrado, in uno spettacolo pre-editto bulgaro, “Stamo cor sistema bipolare, se chiama Bi-qualunquismo”).
Il programma, nato, per caso, nella stessa cornice di una bagarre multimediale e multimediatica, fra quelli che indiscutibilmente rimangono un dirigente ed i suoi dipendenti, obbiettivamente vergognosa, ha il pregio di proporre uno stile ed un genere diverso dallo standard della Rai (cioé il nulla, ma intendo il nulla de “La storia Infinita” di Michael Ende). Bisogna però tenere presente, che Saviano è un personaggio importante, per Napoli, per l’Italia e per la lotta alla mafia. E su quest’ultimo punto è doveroso precisare: per la lotta agli ostacoli che si pongono, da quasi cento anni di storia d’Italia, alla costruzione di uno stato civile e democratico.
Gomorra è un libro importante ed un fenomeno culturale e mediatico molto interessante. E sono importanti e molto interessanti le reazioni dei napoletani e degli italiani alla domanda che si pone con forza in seguito al successo di Saviano: Napoli è Gomorra? La borghesia napoletana ha recepito tutto questo con sdegno e rassegnazione, riconoscendo la realtà nella quale vive attualmente nel quadro descritto dal giovane scrittore. Gomorra sottolinea, quasi con un marchio a fuoco, le gravi colpe di quella borghesia e di quella classe dirigente. E la risposta, di quella che non è solamente la “Napoli-bene”, è un assenso dipinto con un silenzio tombale dai toni grigi e tristi.
Ci sono solo due problemi pesanti come macigni.
1. Il primo libro di Saviano è il bambino di cui Benigni parlava nello speciale, andato in onda su Raiuno, e dedicato al Paradiso della Divina Commedia, quando si trovava ad interpretare il punto in cui Dante parla dello sguardo di Dio. Si tratta di quello stesso sguardo di quel bambino, ma in una versione monca. Oltre alla mirabile poetica dei racconti con cui si apre il libro, ed il conturbante elenco di atti giudiziari di cui i professionisti dello scandalo di Cogne non si sono mai accorti, vi è una terza parte di quell’opera che, per motivi sconosciuti, non è mai stata pubblicata. Sarebbe la parte dedicata alla politica. In cui il giovane scrittore di belle speranze spiega che il risultato di decennali lotte fra le realtà democristiane più variegate e l’opposizione del PCI è stato il Governatore Bassolino. Una via di mezzo fra un tiranno ed un despota, che, d’altronde, sta offrendo una affascinante rivisitazione in chiave moderna dell’immagine di Nerone, con la spazzatura al posto del fuoco.
E magari questo fantomatico terzo capitolo potrebbe fare un cenno al personaggio di Pino Amato, esponente di spicco della corrente dei cattolici di sinistra di Napoli, ucciso barbaramente dalle brigate rosse, dimenticato dai giornali e dalla politica. Il personaggio di Amato, che si era reso protagonista della costruzione di un impianto politico efficace in ambito regionale, e soprattutto di istituzioni sane e libere, avrebbe rappresentato un elemento imprescindibile all’analisi politica di cui Gomorra lamenta l’asportazione forzata. Forse il progetto politico di Pino Amato, improntato sui valori dei cattolici democratici, potrebbe essere una versione immensamente più raffinata delle webcam in consiglio regionale tanto invocate dal Movimento Cinque Stelle vicino al Grillo Nazionale (il volo di Icaro poi si è realizzato ad opera della massima istituzione sociale italiana: Striscia la notizia). Eppure il fatto che dopo la morte del politico napoletano tutti i suoi progetti siano caduti, casualmente, nell’oblio, sembra un delitto mafioso ben più grave dell’omicidio: oltre alla persona sono morte le idee.
2. Il personaggio mediatico Saviano ed il fenomeno Gomorra sono stati atrocemente violentati alla luce del sole. Roberto, caro a Travaglio, è giovane. E sopra di lui è ormai stata ricamata una sovrastruttura mediatica che, distorcendone le intenzioni e la buona fede, ne ha fatto esattamente un “professionista dell’antimafia” prestato alla politica. E viene veramente una sincera tristezza, che maschera la rassegnazione, ad osservare il crescendo rossiniano con cui, a poco a poco, l’intellettuale napoletano è andato a cascare, infilandosi “di secco” (“ e’ sicc’”, sistema integrato delle comunicazioni? È robba de Mondadori Savià!) e poi sistemandosi “di chiatto” (“e’ chiatt’”, o forse dovrei dire “di Fazio”?), nel teatrino della politica italiana.
Facciamo salvo lo spettacolo di buon livello, ma intendiamoci, di buon livello rispetto al Grande Fratello, sarebbe anche uno spettacolo di bambini delle elementari, con la musica di Paolo Conte. Non fa nient’altro che tristezza, al napoletano borghese, assistere alla drammaturgia retorica ostentata da Saviano intento a recitare il giuramento della Giovine Italia, subito dopo aver sottolineato di avere dei parenti genovesi uccisi perché aderenti all’associazione di Giuseppe Mazzini. “Vieni via con me” è un’operazione politica. Il monologo (o comizio?) finale, con la bandiera italiana in mano, marca l’inizio della campagna elettorale della coalizione che si vuole di centro-sinistra. Il messaggio è chiaro e viene retoricamente enunciato prima dell’annuncio trionfante: con Vendola ma senza Di Pietro. E il chierico Travaglio risponde prontamente sul fatto quotidiano (editore puro!?) con un fondo intitolato “Caro Roberto”, che si conclude sull’interrogativo: ma chi può dire chi dei due fra Falcone e Galasso avesse ragione?
Nella trasmissione spiccano diverse novità.
Robert “Fitzgerald” Saviano accenna, “en passant”, al fatto che una personalità come Leonardo Sciascia prese una cantonata accusando Borsellino nel suo famoso articolo sui “professionisti dell’antimafia”. Ora Saviano sarà anche la nuova speranza degli intellettuali italiani, ma quantomeno, potrebbe avere pudore e adottare un certo timore reverenziale verso una personalità di spicco come l’autore di “A ciascuno il suo”. Ebbene no, il messaggio che passa è: Saviano in esilio come Dante e “Sciascia ci cascò”!
Il bi-qualunquismo, imprestato alla felice intuizione di Guzzanti, dilaga sulla scia del dualismo monologo/comizio (del resto, di craxiana memoria) e l’ossessione dell’elenco. Ogni volta viene da chiedersi: UN elenco? E soprattutto: un elenco o una lista della spesa? Ma si aggiungono a questi le opposizioni irrisolte, buttate lì con avveduta retorica una dietro l’altra con il mistificato filo conduttore della dialettica elettorale.
Ma la grossa novità, il filo nascosto, apposta ed a malapena, dalla struttura retorica della trasmissione, è un assunto che lascia di stucco: in Italia la mafia comanda! E la risposta del pubblico a cui Saviano vuole rivolgersi, cioè quelli che vanno a votare poco convinti o che non ci vanno, non può che essere: la mafia comanda sempre, la mafia è più forte dello stato, se non lo fosse, allora non sarebbe mafia! L’unica verità è che la mafia, in Italia, esiste e quindi comanda, perché nessuno ha mai saputo raccogliere il compito della lotta alla mafia sul piano politico! Comanda perché nessun’altro riesce a comandare!
La campagna elettorale per le prossime elezioni politiche è cominciata in televisione e questo è vergognoso. Perché la crociata televisiva di Craxi negli anni ‘80 era un’astuta mossa sorretta dal relativo spessore politico del personaggio e soprattutto del contesto nel quale era inserito, ma quantomeno era dialettica politica dichiarata. La sinistra invece fa propaganda elettorale con i comici e i “giornalisti-autori televisivi malgrado loro” mistificando le spaccature fra nord e sud, destra e sinistra e fra ricchi e poveri, enunciando chiaramente che la divisione non è una soluzione, mentre, forse in molti casi inconsapevolmente, ne alimentano lo sviluppo.
La campagna elettorale parte sul monologo di Saviano e subito dopo c’é un dialogo con Fazio che non è altro che un elenco bipolare con una maschera dialogica, e che finisce con un minaccioso “Vado via” ed un bel “Vengo con te”. Quante delle fortunate famiglie dell’Auditel lo avranno notato? E quanti di quelli che l’hanno notato hanno potuto cambiare canale? E che senso avrebbe avuto, dato che si trattava della fine della trasmissione? Insomma, “vieni via con me” è la voce di una strega o è la voce di Paolo Conte innamorato? Saviano minaccia o propone? Ma soprattutto, ancora una volta dopo vent’anni da Tangentopoli, la sinistra vuole governare questo paese?
“Vieni via con me” fa pensare ad una vignetta dei Peanuts di Schultz, tanto cari a sua maestà Umberto Eco, in cui Linus Van Pelt, appoggiato al solito muretto, impegnato in una discussione sul senso della vita con Charlie Brown, conclude: “Non ha importanza dove andiamo… Non siamo mai partiti!”.
Sicuramente c’è da dire che questo è un paese nel quale uno dei massimi dirigenti della prima industria culturale viene scientificamente accusato di censura nel momento in cui lamenta l’opportunità di produrre, a spese dei contribuenti, un programma che si vuole di intrattenimento culturale a stampo nazionalistico, e che poi, come volevasi dimostrare, non è altro che una subdola scorciatoia per fare propaganda elettorale sfuggendo alla par condicio e soprattutto fuori dai termini stabiliti per legge in nome del popolo sovrano (anche in nome dei parenti liguri di Saviano). C’è inoltre da rabbrividire nell’assistere al fatto che Masi, dopo essere sceso così in fondo verso lo squallore nel disquisire sui giornali dei compensi dei suoi dipendenti, non vada a presentare le doverose dimissioni, al presidente della Rai che, sullo sfondo, si adopra a fare il voltagabbana e dà tanti colpi al cerchio quanti alla botte con il risultato di garantire lo share necessario a imporre il prosieguo della trasmissione. Ecco, queste mi sembrano ottime ragioni per andare via. Ma andare via accertandosi di non scegliere la stessa destinazione di Saviano e Fazio!
Parlare di censura televisiva porta alla mente un’intervista di sua (ulteriore) maestà Enzo Biagi a Pasolini, l’ultimo poeta italiano, escluso dal partito comunista per discriminazione, culturale in realtà, ma sessuale in apparenza, che dovrebbe essere proposto quotidianamente sulla pagina iniziale di Youtube in Italia. Nell’intervista Biagi esorta Pasolini a dire tutto quello che vuole senza timore di essere censurato. E il grande poeta gli risponde che non può dire tutto quello che vuole perché sarebbe stato accusato di vilipendio. Sarebbe stato accusato di un reato stabilito sempre in nome del popolo sovrano (nel quale sono sempre inclusi i parenti liguri di Saviano). Per giunta precisa che di fronte a certi ascoltatori lui stesso non vorrebbe dire certe cose. E tutto quell’estratto sarebbe da mandare a ripetizione nelle redazione di tutte le testate giornalistiche nazionali. “Nel momento in cui qualcuno ci ascolta nel video […] ha verso di noi un rapporto da inferiore a superiore che è un rapporto spaventosamente antidemocratico”. Una sola cosa, in definitiva, ci sarebbe da rispondere a Saviano ed ai professionisti dell’antiqualcosa: quello é un intellettuale!
La risposta all’enunciato “vieni via con me” l’ha data saggiamente Eduardo De Filippo praticamente sul letto di morte: “Jatevenne!”. Questo paese ormai é fatto per i Minzolini e per i Travaglio, non per i De Filippo ed i Sciascia!
P.S.
Una piccola nota di colore: scrivendo su Word la parola Bassolino, il correttore automatico la trasforma in “Sassolino”. Mentre Pasolini viene corretto con la parola “Pisolini”! Misteri o fortuite coincidenze della tecnologia di massa…
YanezDeGomera (ilredelmare)